ELOGIO DELLA SPANNOMETRIA

Da Scuola e Lingue Moderne, a. XXXII, n. 9, Dicembre 1994, pp. 259-260.

La docimologia è nata per contrastare quel "misurare a spanne" approssimativo, impressionistico e incoerente che ha caratterizzato tante verifiche del profitto scolastico. Essa ha generato nobili rampolli, tra cui il Language Testing di cui mi onoro di essere cultore da qualche decennio. Non sto perorando il ritorno alle valutazioni "a mira di naso" ma a certi eccessi si dovrà pure porre un limite. C'è in giro un'epidemia di valutazionite di cui in teoria dovrei rallegrarmi al massimo e che invece mi preoccupa molto.

Ecco alcuni sintomi, analizzati a partire dal caso di mia moglie che insegna inglese a sei classi alla scuola media, ma che pare un caso abbastanza sintomatico e diffuso:

a) un registro che già in partenza è più voluminoso delle Pagine Gialle di Milano, e a cui deve aggiungere integrazioni e allegati vari;

b) nel suddetto, miriadi di caselline troppo piccole per farvi delle annotazioni leggibili ma nelle quali pare che sia vietato porre simboli convenzionali, numeri o lettere; i colleghi di educazione artistica hanno proposto, in tutta serietà, di usare i colori - ma che senso ha fare "riunioni per materia" su un tema come la valutazione?

c) consigli di classe interminabili per la compilazione dei quadri (ormai familiarmente noti come Q1, Q2...) sulla situazione iniziale delle classi e degli allievi; ciò che prima si poteva fare in un paio di pomeriggi, scambiandosi le informazioni essenziali sui casi problematici, ora richiede un paio di settimane quasi completamente assorbite da questioni di forma e non di sostanza. Pare inoltre che sia vietato conoscere l'esistenza non solo del computer ma anche delle semplici fotocopiatrici, macchine molto più brave degli insegnanti nel lavoro idiota di riportare gli stessi dati su più fogli: è impossibile che sbaglino a copiare e sono infinitamente più svelte;

d) telefonate serali in cui i colleghi si scambiano notizie come "Pare che il Provveditorato stia per mandare il Q4" con la domanda, in tono allarmato, "Quante sedute di scrutinio ci vorranno?"

In teoria, questa "sindrome da nuova scheda" può, dopo una fase di febbri infantili, portare a uno sviluppo positivo in cui si dà finalmente attuazione a un'ottica curricolare seria dove si pongono obiettivi realistici e ben mirati e se ne verifica puntualmente il raggiungimento. E' quanto mi auguro da quando insegno e, per quel che riguarda gli studi sul testing, almeno dal 1973 quando ho pubblicato un articolo sugli obiettivi comportamentistici. Ma nella pratica, non è sottraendo tempo all'attività didattica in senso stretto che si facilita la conoscenza dell'alunno e la definizione di itinerari educativi validi. L'eccesso di burocrazia è soffocante e frustrante.

La glottodidattica recente pone con insistenza l'accento sul dovere di considerare l'allievo come persona, in tutte le sue componenti materiali e spirituali: non abbiamo davanti a noi menti prive di corpo, ma giovani la cui salute incide sul rendimento scolastico e il cui fisico ha bisogno di alternare momenti di quiete a momenti di moto; né la loro psiche è fatta solo di intelligenza, di memoria, di attitudini più o meno spiccate all'apprendimento linguistico, perché la demotivazione, l'ansia, il senso di insicurezza - in una parola, la affettività del soggetto - giocano un ruolo fondamentale.

Ebbene, anche l'insegnante è persona: deve essere presente nel rapporto educativo (rapporto interpersonale per eccellenza) con una personalità pienamente realizzata e a tutto tondo. Soffocare il dialogo educativo o ridurlo a una serie di adempimenti tecnici e burocratici è un errore grave, che contraddice totalmente alle finalità che le nuove procedure intendono perseguire. Mi sembra inquietante l'accanimento per un rispetto formale della lettera delle normative vigenti, dimenticando le grandi finalità della scuola nel suo complesso e dell'educazione linguistica in particolare. Si sottolineano singole voci dei programmi ministeriali (che in qualche caso, come quello delle lingue straniere nella scuola elementare, sono gravemente carenti) senza richiamarsi alle premesse, agli orientamenti generali e agli obiettivi a lungo termine. Non c'è da meravigliarsi se l'esito è un forte senso di frustrazione degli insegnanti, che può essere tenuto a freno se si ha un ancor più forte senso dell'etica professionale, ma da cui allievi e famiglie non possono sperare nulla di buono.

Ottimista a oltranza, spero che questi problemi abbiano trovato una soluzione, o almeno una decente composizione, nel tempo intercorso tra la redazione di questa nota e la sua pubblicazione. In caso contrario, l'ANILS dovrà farsi carico di interventi decisi ed energici intesi a ottenere non il ritorno all'antico, alla "spannometria" pressappochista, ma a un sano realismo psicopedagogico che rifiuta di incasellare l'allievo attraverso una serie di microanalisi e che ricorda che la lingua, materna o straniera che sia, è un tutto che non corrisponde alla semplice somma delle parti. Mi rifiuto di pensare che la Nona Sinfonia di Beethoven possa essere descritta compiutamente solo in termini di hertz, decibel, millisecondi, frequenze, formanti, armoniche, ecc. E ciascun essere umano è un capolavoro infinitamente più complesso della composizione musicale più grandiosa che si possa immaginare.

Gianfranco Porcelli Milano, 30 novembre 1994