Jack(pot)

La conversazione di questa sera riguarda i giochi d’azzardo e le scommesse, anche perché da qualche tempo ormai certi giochi tengono banco (è il caso di dirlo) sia nelle cronache che in quello che la gente dice. Comincio da una parola inglese che è Poker. Ce ne sono tante varianti, soprattutto negli Stati Uniti. In una di queste c’è un piatto iniziale di soldi scommessi per partecipare alla mano di gioco e si può aprire avendo almeno una coppia di fanti.

Quello che noi chiamiamo il "piatto" in questo contesto per gli inglesi è il pot, una parola che di per sé significa "pentola, vaso" — ma poi ci sono anche teapot che è la teiera e coffeepot che è la caffettiera. Il fante, come carta da gioco, è il Jack e il piatto delle scommesse per l’apertura ai fanti è quindi il jackpot — se nessuno ha le carte buone per "aprire", le scommesse si cumulano con quelle della mano successiva. Da qui l’idea di jackpot si è estesa a molti altri giochi in cui c’è una qualche forma di accumulo delle vincite possibili.

Ad esempio, nelle slot machines fare jackpot vuol dire vincere tutte le monete che nel frattempo sono rimaste nella macchina oppure il premio massimo previsto. E ora di jackpot si parla anche da noi per via del superenalotto e di altri concorsi.

Adesso vi chiedo di seguirmi in quello che può sembrare un salto molto brusco nel tempo e nello spazio, ma vedrete che c’è una ragione. Nei lavori teatrali di Carlo Goldoni e più in generale nella Commedia dell’Arte italiana c’è il personaggio dello Zanni, il servitore — anche Arlecchino è uno zanni. La parola "zanni" deriva dal nome Giovanni, attraverso una modificazione dialettale. Una cosa simile è successa anche in inglese dove Giovanni è John e il nomignolo di John, cioè Jack, è stato usato per indicare l’uomo di rango sociale più umile, il servitore, il soldato, il fante. Le carte da gioco riprendono a modo loro un certo modello della società, e accanto a King e Queen, re e regina, danno un ruolo importante anche al Jack. E così ritorniamo al nostro jackpot.