Prestiti stranieri e falsi amici

    Sabato 7 dicembre 1991, ricordando il cinquantenario dell'attacco giapponese a Pearl Harbor, un importante giornale milanese pubblicava una carta dell'isola di Oahu, nelle Hawaii. La carta indicava la posizione di Honolulu, della stessa Pearl Harbor e di una serie di obiettivi militari, tra cui le "Baracche Schofield." Nessuno in redazione si è chiesto come mai delle baracche avessero un nome e costituissero un obiettivo militare. Per avere la risposta sarebbe bastato consultare qualsiasi dizionario, da cui si ricava che barracks significa "caserma," ma forse la pseudoconoscenza dell'inglese da cui molti sono affetti fa perdere l'umiltà che porta ad effettuare alcuni semplici controlli.

    Ora, il fenomeno dei cosiddetti "falsi amici," ossia delle parole che assomigliano ma vogliono dire altro, è diffuso in tutte le lingue e dovrebbe essere noto. Ci sono casi in cui la parola straniera non ha mai il significato di quella italiana che le somiglia — così è per barracks e anche, ad esempio, per morbid che vuol dire "morboso" (e mai, assolutamente, "morbido"); in altri casi la parola straniera ha vari significati che solo in parte coincidono con il termine italiano più simile.

    Soprattutto nel doppiaggio dei filmati chi sa l’inglese trova errori di questo genere: "Mamma, c’è uno straniero alla porta." Il bambino che ha aperto la porta e si è sentito rivolgere la parola nella sua lingua come può sapere se lo sconosciuto è uno straniero? Stranger non è lo straniero (che è invece un foreigner) ma l’estraneo, lo sconosciuto, il forestiero che magari abita a poche miglia di distanza, nella stessa contea — è il caso del dialogo di un film western: "Da dove vieni, straniero?" "Dalla città dietro la collina."

    Un altro esempio: la mamma rimprovera un ragazzo perché ha dato uno schiaffo al fratellino e lui, per giustificarsi, risponde "Lui mi ha abusato." Chi non sa che abuse vuol dire "insultare" e non ha seguito bene la scena può avere l’impressione che sia successo qualcosa di molto più grave che non uno scambio di parole non proprio gentili.

    Molte agenzie di doppiaggio sono più attente al movimento delle labbra che non al significato delle parole; se anche in Italia avessimo i sottotitoli, come in molti altri paesi, probabilmente migliorerebbe la nostra capacità di comprendere le lingue straniere e, in seguito, di parlarle. Vocaboli che ora sono falsi amici potrebbero trasformarsi in amici veri, nel senso che sapremmo come trattarli per andare d’accordo.